Hai mai fatto veramente attenzione al significato delle parole che usi? Ci sto pensando molto in questi giorni, mentre riesco finalmente a leggere il libro dell'amico Lorenzo Guadagnucci appena uscito per Altreconomia.
"Parole sporche" è il racconto di una lotta, quella per la messa al bando delle parole che offendono, che escludono, che relegano in confini prima immaginari, tracciati con la voce o con la tastiera, poi sempre più reali su cui aleggia un alone di razzismo nemmeno troppo celato.
Lorenzo racconta l'impegno di un pugno di giornalisti (definiti di provincia, ad averne...), per sensibilizzare i colleghi ad un linguaggio corretto in materia di immigrazione. Capisci quale è la vera radice culturale e semantica di parole come "clandestino" o "vu cumprà" o "extracomunitario" le quali finiscono per fare parte di un universo di armamenti che frammenti crescenti della politica e della società utilizzano per emarginare il diverso.
E spesso nemmeno ce ne accorgiamo. Anche questa è un'occasione per rifletterci.
Scrive Guadagnucci: "La verità è che nessuno è immune da forme di conformismo linguistico, inclusi i promotori di 'Giornalisti contro il razzismo': nella nostra vita professionale abbiamo spesso utilizzato parole già pronte per il consumo, pensate e indicate da altri; lo abbiamo fatto perchè si fa prima, perchè così fa tutti, perchè in apparenza sono le parole più giuste, più...normali. L'esperienza diretta, la riflessione, l'impegno civile, ci hanno però spinto ad una riflessione che ci ha aperto ad una creatività liberante. Insomma, abbiamo mutato stile e approccio, fino a condividere con altri lo stesso proposito di cambiamento, sentendoci meno isolati".
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