Incontro Emilio Molinari nell'appartamento a Milano che condivide con la moglie Tina. È l'unico suo giorno libero di un periodo intensamente passato a presentare l'ultimo libro, scritto insieme al giornalista Claudio Jampaglia. Il titolo è "Salvare l'acqua". Capisco subito che la nostra non sarà un'intervista classica, ma un viaggio profondo e denso di spunti. Una chiacchierata si direbbe. E lui deliziosamente mi dedica diverse ore, per spiegare che sì, ce la possiamo fare a salvare l'acqua dalle mire dei poteri economici, che intorno a questo impegno si gioca un bel pezzo delle nostre malandate democrazie.
La prima domanda scatena una lucida analisi sul significato di questa lotta. Perchè tanto impegno intorno all'acqua? "Il tema -risponde subito annotando su un foglio bianco i punti del suo ragionamento- è riuscito ad essere un concentrato di quello che serve ad una nuova generazione di impegno politico. La narrazione intorno all'acqua come fonte di vita trova richiami in tutte le religioni, ogni civiltà è nata intorno a questo elemento. È un aspetto su cui si costruisce un immaginario. Ed era precisamente un elemento che alla fine del secolo scorso era stato perso. In secondo luogo -insiste Emilio- è uno strumento utilissimo di lettura dell'attualità: acqua come indicatore della sostenibilità del Pianeta, senza di cui è in discussione la vita stessa.
È un tema che la gente riesce a vedere. Non è strano, ad esempio che ci siano molte persone anziane che si mobilitano. Gli anziani hanno più facilità a capire cosa è successo, come si è persa la risorsa, mentre i giovani spesso devono fare ancora questo passaggio, perchè l'hanno già ereditata contaminata di schifezze e di inquinamento. La condizione di precarietà dell'acqua, della scarsità della risorsa che comincia a farsi strada. Ne discende un terzo elemento: di fronte alla scarsità, la capicità di avere posto la questione della mercificazione. È un aspetto che va più in là della privatizzazione in senso stretto. Essere riusciti a dare la dimensione del problema: l'anonima multinazionale intoccabile che si sta prendendo l'acqua dei nostri territori. Invisibilmente".
Qui capiamo come intorno a questo tema ne girano molti altri. "Se nel '900 il dibattitto politico ruotava intorno alla proprietà dei mezzi di produzione, oggi possiamo dire che il vero scontro si gioca sulla proprietà dei mezzi di riproduzione umana. Il capitalismo si sta appropriando delle fonti stesse della vita, della possibilità di riprodursi: acqua, semi, terra e anche aria per certi aspetti. Il contadino perde il suo ruolo, noi perdiamo il rapporto con l'acqua. L'altro dibattito, forte, è sui tempi: siamo stati abituati a ragionare su tempi non definiti del cambiamento. Tutta l'umanità, nelle grandi correnti di cambiamento, ha sempre pensato alla lunga distanza. Per il socialismo era il sole dell'avvenire, per i cristiani il Regno di Dio in terra, per il capitalismo era lo sviluppo dell'economia che avrebbe portato benessere anche ai più poveri. Oggi per definire un cambiamento abbiamo un tempo massimo di 40-50 anni. Questo rovescia la domanda: parliamo di cambiamento o di salvezza?".
E sull'acqua c'è possibilità di vincere in tempi brevi? "Questo -risponde Emilio- è un elemento centrale. C'è la possibilità di fare delle conquiste. Si può affermare a livello istituzionale che l'acqua è un diritto umano universale imprescindibile ed ineliminabile. Sono obiettivi concreti che vengono portati avanti sul piano locale, nazionale ed internazionale".
Passiamo alla proposta, perchè serve concretezza. Qual è la loro proposta? Di che tipo di gestione parliamo?
"Sottraiamoci un attimo dal discorso se è meglio pubblico o privato -spiega ancora Emilio-. Parliamo di acqua: prendiamo principi e valori che erano nella politica del passato e che sono universali: l'acqua va garantita come diritto umano a tutti. In secondo luogo il principio del risparmio: nessun soggetto privato è in grado di garantire il diritto e il risparmio, può certamente far funzionare bene un'azienda, ma non è in grado di garantirli. Il secondo problema riguarda l'efficienza della gestione. Per l'acqua non esiste competizione, c'è solo un passaggio da un monopolio naturale gestito pubblicamente e localmente ad un monopolio naturale gestito privatamente. Non è una privatizzazione qualsiasi, ma una mercificazione globale, si potrebbe semplificare dicendo "tutti i rubinetti del mondo in mano alle multinazionali". Terzo: non è mai dimostrato che pubblico non significa capacità di gestire: nel nord Italia, a Milano, a Parigi è vero il contrario. In tutto il mondo non esiste esempio di gestione virtuosa del privato. Certo, esistono gestioni scorrette ed incapaci del pubblico, ma allora il punto è ragionare come migliorarla. Eppoi: cosa resta ai territori se sottraiamo anche la gestione dei beni pubblici? Si afferma spesso "padroni a casa nostra", allora perchè accettare che venga sottratta la gestione dell'acqua? Per questo noi proponiamo una forma di gestione che garantisca gratuitamente a tutti il minimo bisogno (50 litri al giorno secondo le Nazioni Unite), introducendo il criterio del contatore per ogni famiglia, coinvolgendo ognuno nel risparmio. Così comincia a delinearsi una politica nuova che può anche prevedere forme di gestione comunitaria dei territori come accaduto in passato ed accade ancora oggi, forse le crisi attuali costringeranno anche a tornare a queste soluzioni".
Sembra che il tempo, parlando con Emilio, debba non passare mai, che ogni parola riporti un significato così profondo da essere nuovo e vincente quanto ancorato alla storia. O meglio a tutto ciò che di buono e costruttivo l'umanità è riuscita a realizzare. E può e deve continuare a farlo.
p.s.: l'intervista completa è stata pubblicata dalla rivista Manitese
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