mercoledì 1 dicembre 2010

A parole...

Da uno scambio di mail con un caro amico ci chiediamo se l'antimafia quella a "parole" possa veramente scalfire il potere delle mafie. Tutto sta nel significato di "a parole".

Il procuratore Ingroia qualche anno fa in una bella intervista su Altreconomia fatta da Mario Portanova ricordava in maniera molto semplice che "spesso i cittadini si chiedono come possono incidere. Il consumo critico è un modo, ma per praticarlo è necessario avere informazioni. Sulla mafia i media dovrebbero fare meno colore e più servizio, raccontando di imprese e realtà economiche colluse, in modo che i cittadini possano orientarsi meglio”.

Quindi oltre il "colore" ci deve essere di più, devono essere svelati i meccanismi reali della mafia e in quale modo oltre ad offendere la legalità impoveriscono la società. Roberto Saviano "a parole" fa il suo mestiere, quello di raccontare storie. L'attore Giulio Cavalli con il suo spettacolo "a parole" fa il proprio mestiere.

I magistrati, spesso nell'ombra perchè deve essere così, fanno il loro. Fare le classifiche è impossibile, ma gli anelli deboli della catena del dovere sono troppo decisivi: la stampa molte volte tradisce la propria funzione che dovrebbe essere quella di scavare sotto l'apparente normalità e raccontare le mafie non solo quando ci sono fatti di sangue, arresti eccellenti o processi pubblici, ma tutti i giorni. La politica latita e non assolve al quel compito di creare nuova consapevolezza, di cambiare in qualche modo la società.

Proviamo a dirla in altro modo: è bello leggere su Repubblica o vedere alla televisione Roberto Saviano che racconta di "gomorra", ma sarebbe più bello avere più spesso giornalisti veri (e quindi che possono muoversi e "scavare" con autonomia...) che raccontano la parte di Italia che è costretta a convivere con le mafie e a subirne la potenza.

Come è bello leggere Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che si scaglia contro la mercificazione del cibo, la speculazione sull'alimentazione, che racconta quanto sia sano, bello buono il mondo "slow", ma perchè non avere più spesso giornalisti che ne svelano i meccanismi, ne raccontano i non sense e abituano il lettore a chiedersi se dietro a quello che mangiano ci sia la mafia o qualsiasi altra forma di speculazione legale o meno?

Invece altri meccanismi portano spesso a sovvertire le funzioni: lo scrittore "informa", il giornale "ospita", l'artista "fa politica", la politica "difende" lo scrittore, l'antimafia si riduce a spettacolo. In tempi bui come questi va bene tutto, ma siamo sicuri che porti ad un qualche cambiamento?

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