Secondo la relazione della Dia (Direzione investigativa antimafia) nel primo semestre del 2012 in Toscana ci sono state 842 operazioni sospette (l'8% di quelle totali in Italia) e la nostra regione è seconda dopo la Sicilia per denunce per impieghi di denaro di provenienza illecita.
83 sono stati i beni confiscati alle mafie: al primo posto ci sono le province di Firenze e Pistoia (17) al terzo Massa (12) e al quarto Lucca (8). La provincia di Lucca è stata interessata da 44 operazioni delle forze dell'ordine e nel territorio lucchese operano in qualche modo 31 gruppi criminali mafiosi: 13 clan della camorra - per i casalesi sono presenti le famiglie Bidognetti, Russo, Schiavone e Iovine - 6 della criminalità organizzata siciliana, 11 della ‘ndrangheta e la banda della Magliana.
I dati sono contenuti nella prima sintesi della Fondazione Caponnetto del rapporto sulle Mafie in Toscana di cui Lo Schermo aveva pubblicato qualche anticipazione a maggio.
"La Toscana -scrive la Fondazione Caponnetto- terra che storicamente non ha mai dato origine a forme mafiose, è un luogo in cui convivono varie forme di criminalità mafiose. Come sempre più spesso accade, la regola principale è quella di coesistere, possibilmente senza pestarsi i piedi e anzi, in alcuni casi, di fare insieme affari. Le mafie sono in continua evoluzione. Uno dei modi per fare investimenti sicuri, ad esempio, potrebbe essere quello di entrare nei grandi marchi della distribuzione, della moda o di altre attività economiche. Dalle ultime analisi e da numerose inchieste giudiziarie emerge che, fuori dai rispettivi confini regionali, le organizzazioni criminali autoctone collaborano effettivamente tra loro, spartendosi business a tutti i livelli. Pare che si siano suddivisi anche parte dei territori del centro e del nord Italia. Le infiltrazioni, oramai, vanno al di là della politica e riguardano tutti gli ambiti della nostra società, anche le Forze di polizia e la magistratura non sono immuni. Non c’è una fusione ma c’è un patto, una sorta di alleanza, per trovare il sistema utile ad accumulare introiti a cascata. Si può ad oggi affermare che questa evoluzione ha creato una nuova mafia, ancora più potente: la‘ndracamostra, originata dalla mescolanza delle tre più importanti organizzazioni criminali, ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra".
L'infiltrazione mafiosa in Toscana è ramificata in tutte le provincie, fra cui Lucca. I fatti di cronaca sono molti, spesso vengono raccontati dai giornali locali. Sono le punte dell'iceberg di un fenomeno che sta interessando in maniera crescente la quotidianità del tessuto economico e sociale locale, soprattutto in alcuni territori dove i metodi mafiosi ai danni di alcune imprese hanno assunto intensità e paragonabile a quella dei luoghi di origine dei clan.
Ma in Toscana le mafie non sono avvertite adeguatamente come un problema che riguarda tutti e deturpa la legalità e la giustizia del territorio, ma come una questione ancora lontana contro cui combattere -e l'impegno in questo senso è comunque forte- culturalmente tramite l'esercizio della memoria per le vittime e la sensibilizzazione. Il rapporto della Fondazione Caponnetto e questi dati possono aiutarci ad attrezzarci meglio.
Non chiederci la parola
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Eugenio Montale, Ossi di Seppia, 1925
lunedì 29 luglio 2013
mercoledì 24 aprile 2013
Basta con l'elogio della carta
Sono accerchiato.
Sì, sono accerchiato da persone che non capiscono il valore che può avere l'editoria digitale nel far dilagare la cultura dell'innovazione, e insieme a lei i vecchi e nuovi contenuti da proporre in maniera nuova e più efficace.
Il mantra è sempre lo stesso: ma vuoi mettere un libro vero? Che è quella roba lì? Se poi ti si rompe il lettore? Almeno il libro resta. Il resto è fuffa su cui l'industria digitale esercita un dominio.
Si, il libro è l'oggetto più duraturo che il secolo scorso ci ha regalato, uno dei pochi che continua ad avere un senso fra le mani, mentre tutto si sgretola ossidato da obsolescenze programmate o mentali.
Ma non è vero che è eterno. Così come nulla è eterno. Tanto meno noi.
Da qualche mese ho lasciato l'approdo sicuro dei libri di carta. Li continuo a comprare e a leggere, ma solo quando ne vale veramente la pena. Una libreria oggi deve essere come uno scrigno: contenere solo i gioielli veri per metterli al sicuro da olocausti nucleari, o del pensiero, possibili.
Deve far compagnia nelle fredde serate d'inverno accanto al camino o all'ombra di un maestoso albero al riparo dalla calura estiva. Il libro diventa un oggetto di lusso. D'altronde lo dimostrano anche i prezzi che ha raggiunto.
Accanto può avere un flusso di conoscenza costante e a prezzi più bassi che anche le culture minoritarie e fuori dai circuiti mainstream dovrebbero coltivare.
La cura dei contenuti e il metodo con il quale vengono proposti oggi sono la sfida di qualsiasi organizzazione o comunità.
La cura dei contenuti e il metodo con il quale vengono proposti oggi sono la sfida di qualsiasi organizzazione o comunità.
Allora arrendetevi, perchè io non lo farò: arrendetevi agli e-book, e imparate a leggerli sugli e-reader. Non perderete alcun gusto e vi libererete da pesi inutili. E imparerete anche a riscoprire e amare il buon vecchio libro di carta fra le mani.
mercoledì 29 dicembre 2010
Dove finiranno i giornalisti?
La Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) denuncia i tagli all'editoria. Secondo molti arrivano con il pretesto dei tagli per far tacere tante testate scomode, il colpo mortale ad un settore, quello della carta stampata, che assicura molto più pluralismo della televisione. Sono a rischio 4.000 posti di lavoro e oltre 90 testate giornalistiche, i fondi erano stati inseriti nella Legge di Stabilità per poi essere ritolti nel milleproroghe dei giorni scorsi per permettere il finanziamento del 5 per mille. Con la mano destra si dà con la sinistra si toglie.
Ad essere colpiti sono i giornali non profit, di partito, cooperative e emittenti radiotelevisive locali che vedono svanire quasi 100 milioni di euro, 50 per le testate, 45 a sostegno dell’emittenza locale, e 5 per i giornali editi e diffusi all’estero.
La storia dei tagli all'editoria è una telenovela che dura da anni, sembra più una guerra di bassa intensità che un colpo di scure, quasi una guerra psicologica contro quello spicchio di informazione (in parte) meno assoggettabile. In parte, perchè nel groviglio di giornali "no profit" ci sono anche gli amici di chi esercita in questa fase storica il potere, compreso Libero che prende molti milioni di euro l'anno per esprimere il giornalismo che esprime. Di soldi pubblici, ossia di tutti.
L'interrogativo è il seguente: 4000 giornalisti sono una parte cospicua di tutti quelli che ci sono in Italia, dove andranno a finire? E soprattutto: dove andrà a finire il giornalismo?
mercoledì 22 dicembre 2010
Mille giochi di prestigio
Il decreto "milleproroghe" di cui tanto si parla in queste ore è una specie di giochino ad incastri. Alcuni ministri si divertono perchè vincono, altri un po' meno perchè per loro non c'è spazio. Ancora meno si diverte chi, senza troppa chiarezza tra l'altro, vede apparire e sparire i soldi per questo o quel settore. Sembra un gigantesco mercanteggiamento: ti do il 5 per mille ma mi presti l'ambiente, no l'ambiente no, ma mi proroghi le case fantasma. Ok, però non l'euro in più al cinema che già mi odiano abbastanza.
Il partito del fare (giochi di prestigio) ha la tensione alle stelle. Il momento della spartizione della torta ha una valenza elettorale enorme, e visti i tempi è bene raschiare quello che rimane nel barile come la politica di ogni schieramento ci ha abituati a fare.
Fra i due di picche di questo circo c'è l'editoria, o forse così sembra visto che le bocce non sono ancora ferme. Nelle pieghe del decreto sono spariti 95 milioni di euro che sarebbero stati già assegnati al sostegno all'editoria dalla legge di stabilità.
In particolare, viene dimezzato, da 100 a 50 milioni, il sostegno per il 2011 all'editoria che nella legge di stabilità era stato inserito in attesa dell'attuazione del nuovo regolamento sull'editoria. Altri 45 sono stati defalcati dal fondi per l'emittenza televisiva locale e dalle radio nazionali e locali. Quello che la Finanziaria aveva concesso con la mano destra è stato tolto con quella sinistra del milleproroghe a somma zero.
Strano che a rimetterci sia proprio l'informazione, no?
lunedì 20 dicembre 2010
Alla faccia del forum
Viva la partecipazione. Su molti giornali in questi giorni è apparsa la notizia della costituzione del Forum italiano nucleare, uno spazio pubblico di discussione sulla possibilità di riaprire le centrali nucleari in Italia. In realtà è un'operazione di marketing ideata e realizzata dall'Agenzia Satchi & Satchi che sa fare bne il suo mestiere e l'Enel lo sa.
Cos'è il forum?
Sul suo sito si legge: "Il Forum Nucleare Italiano è un’associazione no-profit che vuole contribuire, come soggetto attivo, alla ripresa del dibattito pubblico sullo sviluppo dell’energia nucleare in Italia. Il Forum vuole favorire una più ampia e approfondita conoscenza dell’opzione nucleare e delle sue implicazioni come condizione indispensabile di un confronto non pregiudiziale su questo tema. Il Forum vuole quindi essere un centro di promozione e divulgazione dell’informazione tecnico-scientifica sul tema del nucleare, che sia la più ampia, chiara, trasparente e accessibile, diffondendo idee, riflessioni, saperi in maniera semplice e comprensibile per tutti e dando spazio ad argomentazioni diverse per stimolare uno schietto confronto. L’Associazione ha come riferimento l’esperienza di analoghi Forum, nati in altri Paesi dove l’energia nucleare fa parte del mix energetico, quali il Belgio, la Svizzera, la Spagna, la Germania, la Slovacchia e gli Stati Uniti. Queste realtà sono organizzate come associazioni, con una membership trasversale (dalle imprese alle università, dal mondo della ricerca a quello economico) ed hanno giocato un ruolo importante nel dibattito sull’energia in questi Paesi".
Prima domanda: vorrei vedere se negli altri paesi il forum pubblico del nucleare è presieduto dal presidente della principale azienda che propone il nucleare. Da noi si chiama Chicco Testa, ex ambientalista, ex presidente dell'Enel, nuclearista estremista, quello che in diretta televisiva ha detto "ti spacco la faccia" a Mario Tozzi che lo criticava sul nucleare.
Seconda domanda: vorrei vedere se in altri paesi il vicepresidente è il presidente del socio d'affari dell'Enel nella partita del nucleare. In Italia si chiama Bruno D'Onghia ed è presidente di Edf Italia. Edf ha già firmato un accordo con Enel per il nucleare.
Terza domanda: vorrei vedere se in altri paesi si apre un forum dopo che si sono già firmati accordi ufficiali.
Quarta domanda: vorrei vedere se all'estero si apre un forum scrivendo frasi come "Perchè il nucleare fa bene all'ambiente", oppure "Nucleare: un'energia pulita e sicura" e altre che vi invito a vedere.
Quinta domanda: tutti i giornali che ho letto in questi giorni (tutti del gruppo Espresso) hanno riportato la notizia del forum sottolineando chi l'ha ideata e che cos'è. Perché nessun ha posto la domanda se può un forum di discussione libero essere presieduto da chi già sa cosa vuole fare e lavora già al nucleare? Perchè?
p.s.: nei giornali che riportavano la notizia del forum nucleare c'era una pagina pubblicitaria dell'Enel.
Cos'è il forum?
Sul suo sito si legge: "Il Forum Nucleare Italiano è un’associazione no-profit che vuole contribuire, come soggetto attivo, alla ripresa del dibattito pubblico sullo sviluppo dell’energia nucleare in Italia. Il Forum vuole favorire una più ampia e approfondita conoscenza dell’opzione nucleare e delle sue implicazioni come condizione indispensabile di un confronto non pregiudiziale su questo tema. Il Forum vuole quindi essere un centro di promozione e divulgazione dell’informazione tecnico-scientifica sul tema del nucleare, che sia la più ampia, chiara, trasparente e accessibile, diffondendo idee, riflessioni, saperi in maniera semplice e comprensibile per tutti e dando spazio ad argomentazioni diverse per stimolare uno schietto confronto. L’Associazione ha come riferimento l’esperienza di analoghi Forum, nati in altri Paesi dove l’energia nucleare fa parte del mix energetico, quali il Belgio, la Svizzera, la Spagna, la Germania, la Slovacchia e gli Stati Uniti. Queste realtà sono organizzate come associazioni, con una membership trasversale (dalle imprese alle università, dal mondo della ricerca a quello economico) ed hanno giocato un ruolo importante nel dibattito sull’energia in questi Paesi".
Prima domanda: vorrei vedere se negli altri paesi il forum pubblico del nucleare è presieduto dal presidente della principale azienda che propone il nucleare. Da noi si chiama Chicco Testa, ex ambientalista, ex presidente dell'Enel, nuclearista estremista, quello che in diretta televisiva ha detto "ti spacco la faccia" a Mario Tozzi che lo criticava sul nucleare.
Seconda domanda: vorrei vedere se in altri paesi il vicepresidente è il presidente del socio d'affari dell'Enel nella partita del nucleare. In Italia si chiama Bruno D'Onghia ed è presidente di Edf Italia. Edf ha già firmato un accordo con Enel per il nucleare.
Terza domanda: vorrei vedere se in altri paesi si apre un forum dopo che si sono già firmati accordi ufficiali.
Quarta domanda: vorrei vedere se all'estero si apre un forum scrivendo frasi come "Perchè il nucleare fa bene all'ambiente", oppure "Nucleare: un'energia pulita e sicura" e altre che vi invito a vedere.
Quinta domanda: tutti i giornali che ho letto in questi giorni (tutti del gruppo Espresso) hanno riportato la notizia del forum sottolineando chi l'ha ideata e che cos'è. Perché nessun ha posto la domanda se può un forum di discussione libero essere presieduto da chi già sa cosa vuole fare e lavora già al nucleare? Perchè?
p.s.: nei giornali che riportavano la notizia del forum nucleare c'era una pagina pubblicitaria dell'Enel.
mercoledì 15 dicembre 2010
Nero su bianco
Oggi abbiamo presentato a Lucca "Nero su Bianco" un rapporto di ricerca sulla rappresentazione dell'immigrazione sui giornali locali voluto dalla Caritas locale. E' stato un bel momento di confronto che è andato anche oltre il classico "dibattito", spesso ideologico, che si fa su questo tema.
Dalla ricerca emerge che in media, in un periodo di tre mesi del 2010, è apparsa circa una notizia di immigrazione al giorno per ogni testata. I 292 articoli apparsi occupano l'1,48% della superficie complessiva dei tre periodici, per cui il 98,5% dello spazio è destinato ad altri articoli e pubblicità. Gli articoli in cui sono presenti gli immigrati riportano prevalentemente fatti di cronaca nera o giudiziaria, in linea con i trend dei giornali nazionali riportati da altre ricerche condotte in questi anni.
Spesso il punto centrale di queste analisi è "come" si parla di immigrazione, meno diffuso è il "se" se ne parla. Ne abbiamo discusso nel corso del dibattito: non se ne parla (molte volte anche un fatto di cronaca nera fa meno notizia se commesso da un migrante) perché non è un potenziale lettore, magari è indigente e non compra i giornali, o altro ancora. Il tema è complicato e ci hanno aiutato a rifletterci il giornalista Antonello Riccelli e Udo Enwerezeur del Cospe. Il quale ha affermato: gli immigrati raramente sono fonti di informazione perchè non sono visti come consumatori di informazione". Spesso si criticano i giornali quando "criminalizzano" gli immigrati, meno spesso si riflette sul fatto che i nuovi cittadini faticano a trovare cittadinanza anche sui media.
martedì 14 dicembre 2010
Metti una sera in libreria
Domenica sera abbiamo presentato a Lucca "Informazione istruzioni per l'uso".
E' stato un momento bello per vari motivi: abbiamo parlato del mondo dei media in maniera obiettiva e costruttiva; ne è sorto un dibattito intenso e qualificato che ha accresciuto il mio modesto lavoro; ho trovato e ritrovato vecchi amici di una città che, dopo due anni di assenza, mi sembra essere cresciuta dal punto di vista della consapevolezza e della partecipazione culturale; abbiamo animato una libreria storica del centro storico che vive sotto la minaccia di essere sradicata dalla "grande distrubuzione libraria".
Una serata che ci ha fatto bene credo, visto il faticoso e sgraziante momento che vive in Italia chi crede ancora nella partecipazione e nella giustizia.
L'incontro è stato raccontatato in maniera originale da LoSchermo.it, una testata online di informazione che segue ciò che accade in provincia di Lucca con uno sguardo rivolto all'esterno. L'articolo di Giacomo Ramacciotti è disponibile cliccando qua.
Ramacciotti apre il suo articolo giustamente con la provocazione iniziale: la libertà non basta averla, bisogna esercitarla. E la professione giornalistica in Italia rischia di abdicare a questa vocazione che dovrebbe essere insita a tale mestiere. Un mestiere meraviglioso che in pochi oggi possono permettersi di praticare.
La libreria era piena di facce proiettate verso la prospettiva che il dibattito, moderato con la solita grazia ed efficacia da Luciano Luciani (Dio sa quanto Lucca è debitrice nei suoi confronti per la costante opera di crescita civile che propone) ha preso. Belle persone il cui ascolto, lo dico senza piaggeria, mi ha un po' turbato perchè mi ha fatto avvertire la responsabilità che un "oratore" ha davanti alla sua platea, in particolare se composta per una parte da persone con cui esiste un legame di amicizia.
E l'argomento, quello dell'informazione, impone ancora più attenzione perchè non si costruisce la consapevolezza nei confronti del mondo dei media senza farlo in modo consapevole. Da domenica mi è rimasta una bella sensazione: una piccolo pezzo di città mi ha accolto nuovamente con affetto e attenzione, lo stesso piccolo pezzo di città con cui mi piacerebbe continuare a discutere e crescere.
domenica 12 dicembre 2010
Ciampi e il futuro del pluralismo
Carlo Azeglio Ciampi ha compiuto 90 anni. Ci sono stati festeggiamenti, ma senza disturbare troppo perché nell'Italia di oggi una figura della sua altezza può essere scomoda. Più di molti che urlano in piazza senza far paura a nessuno. Nel 2002 rivolse un messaggio, il primo dopo il suo arrivo al Quirinale, alle Camere sul pluralismo e l'informazione. Rimane un documento storico straordinario e nonchiedercilaparola lo ripropone sperando che chi può ne faccia tesoro.
"Onorevoli Parlamentari, la garanzia del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta; si tratta di una necessità avvertita dalle forze politiche, dal mondo della cultura, dalla società civile.
Il principio fondamentale del pluralismo, sancito dalla Costituzione e dalle norme dell'Unione Europea, è accolto in leggi dello Stato e sviluppato in importanti sentenze della Corte Costituzionale. Il tema investe l'intero sistema delle comunicazioni, dalla stampa quotidiana e periodica alla radiotelediffusione, e richiede un'attenta riflessione sugli apparati di comunicazione anche alla luce delle più recenti innovazioni tecnologiche e della conseguente diffusione del sistema digitale.
Il mondo appare sempre più un insieme di mezzi e di reti interconnesse, che abbracciano l'editoria giornalistica, la radiotelevisione, le telecomunicazioni. Per quanto riguarda il settore della stampa, la legge 5 agosto 1981, n. 416, fissa limiti precisi alle concentrazioni e detta norme puntuali per la loro eliminazione ove esse vengano a costituirsi. Secondo i dati forniti dal presidente della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nella sua Relazione annuale sull'attività svolta, presentata il 12 luglio scorso, i limiti posti dalla legge alle concentrazioni in materia di stampa risultano rispettati.
Per quanto concerne l'emittenza televisiva, dopo la sentenza n. 826 del 1988, nella quale la Corte Costituzionale affermava che il pluralismo "non potrebbe in ogni caso considerarsi realizzato dal concorso tra un polo pubblico e un polo privato", il Parlamento approvò la legge 6 agosto 1990, n. 223, per disciplinare il sistema radiotelevisivo pubblico e privato. Si tratta della prima legge organica che, nel suo articolo 1, dopo aver affermato il preminente interesse generale della diffusione di programmi radiofonici e televisivi, definisce i principi fondamentali del sistema: "il pluralismo, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'informazione, l'apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto della libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione".
La successiva legge 31 luglio 1997, n. 249, ha istituito l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e ha dettato norme con le quali ha precorso, con lungimiranza, il tema della cosiddetta "convergenza multimediale", tra telecomunicazioni e radiotelevisione, attribuendo all'Autorità indipendente competenza su entrambi i settori. Dato essenziale della normativa in vigore è il divieto di posizioni dominanti, considerate di per sè ostacoli oggettivi all'effettivo esplicarsi del pluralismo.
La giurisprudenza costituzionale, sviluppatasi nell'arco di un quarto di secolo, ha trovato la sua sintesi nella sentenza n. 420 del 1994, nella quale la Corte ha richiamato il vincolo, imposto dalla Costituzione al legislatore, di assicurare il pluralismo delle voci, espressione della libera manifestazione del pensiero, e di garantire, in tal modo, il fondamentale diritto del cittadino all'informazione.
Questi principi hanno avuto conferma nell'aprile scorso nella sentenza n. 155 del 2002 della stessa Corte che, richiamando i punti essenziali delle precedenti decisioni, ha ribadito l'imperativo costituzionale, secondo cui il diritto di informazione garantito dall'art. 21 della Costituzione deve essere "qualificato e caratterizzato, tra l'altro, sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie - così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti - sia dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell'attività di informazione erogata". Tale sentenza è particolarmente significativa là dove pone in rilievo che la sola presenza dell'emittenza privata (cosiddetto pluralismo "esterno") non è sufficiente a garantire la completezza e l'obiettività della comunicazione politica, ove non concorrano ulteriori misure "sostanzialmente ispirate al principio della parità di accesso delle forze politiche" (cosiddetto pluralismo "interno").
I principi e i valori del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione nel settore delle comunicazioni elettroniche sono stati richiamati e hanno trovato sistemazione organica in quattro recenti Direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'Unione Europea, che dovranno essere recepite dai Paesi membri entro il luglio del 2003. Il contenuto di queste Direttive è in sintonia con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che, nel secondo comma dell'articolo 11, sancisce espressamente il rispetto del pluralismo e la libertà dei media. Nelle premesse di tali Direttive sono indicate le finalità di una politica comune europea in materia di informazione. Viene, in particolare, definito il concetto di libertà di espressione, precisando che questa "comprende la libertà di opinione e la libertà di trasmettere informazioni e idee, nonchè la libertà dei mezzi di comunicazione di massa e il loro pluralismo". In particolare, nella Direttiva denominata "Direttiva quadro": - viene specificato che "la politica audiovisiva e la regolamentazione dei contenuti perseguono obiettivi di interesse generale, quali la libertà di espressione, il pluralismo dei mezzi di informazione, l'imparzialità, la diversità culturale e linguistica, l'inclusione sociale, la protezione dei consumatori e la tutela dei minori".
Si fa obbligo agli Stati membri di "garantire l'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione in modo da assicurare l'imparzialità delle loro decisioni"; - è riservato grande spazio all'assetto del mercato e all'esigenza di assicurare un regime concorrenziale.
Nel volgere di pochi anni anche l'Italia disporrà delle nuove possibilità che l'evoluzione della tecnologia mette a disposizione dell'emittenza radiotelevisiva. Questo sviluppo produrrà un allargamento delle occasioni di mercato e rappresenterà un freno alla costituzione o al rafforzamento di posizioni dominanti, pur nella necessaria considerazione delle dimensioni richieste dalle esigenze della competizione nell'ambito del più ampio mercato europeo e mondiale. La legge 30 marzo 2001, n. 66, prevede, in proposito, che "le trasmissioni televisive dei programmi e dei servizi multimediali su frequenze terrestri devono essere irradiate esclusivamente in tecnica digitale entro l'anno 2006".
E, tuttavia, il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione non potranno essere conseguenza automatica del progresso tecnologico. Saranno, quindi, necessarie nuove politiche pubbliche per guidare questo imponente processo di trasformazione. E' questo un problema comune a tutti i paesi europei, oggetto di vivaci dibattiti e di proposte innovative.
Onorevoli Parlamentari, la prospettiva della nuova realtà tecnologica, il quadro normativo offerto dalle recenti Direttive comunitarie e le chiare indicazioni della Corte Costituzionale richiedono l'emanazione di una legge di sistema, intesa a regolare l'intera materia delle comunicazioni, delle radiotelediffusioni, dell'editoria di giornali e periodici e dei rapporti tra questi mezzi. Nel redigere tale legge occorrerà tenere presente, per quanto riguarda la radiotelevisione, il ruolo centrale del servizio pubblico. II trattato di Amsterdam, che vincola tutti i paesi dell'Unione Europea, muove dal presupposto "che il sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri è direttamente collegato elle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonchè all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione".
Nell'atteso testo normativo dovrà trovare coerente sistemazione la disciplina della tutela dei minori, troppo spesso non tenuta nella dovuta considerazione nelle programmazioni delle emittenti televisive.
E' fondamentale, inoltre, che la nuova legge sia conforme al Titolo V della Costituzione, che all'articolo 117 ha assegnato alle Regioni un preciso ruolo nella comunicazione, considerando questa materia ricompresa nella legislazione concorrente insieme a quella della promozione e dell'organizzazione di attività culturali, che ne costituisce un logico corollario. Secondo la riforma costituzionale, spetta allo Stato di determinare i principi fondamentali in dette materie, mentre alle Regioni è conferito il compito di sviluppare una legislazione che valorizzi il criterio dell'articolazione territoriale della comunicazione come espressione delle identità e delle culture locali.
Nella definizione di tali principi fondamentali, lo Stato svolge la sua essenziale funzione di salvaguardia dell'unità della Nazione e della identità culturale italiana. Essi costituiscono la più valida cornice entro la quale trova esplicazione il pluralismo culturale, ricchezza inestimabile del nostro Paese, sorgente di libera formazione della pubblica opinione.
La cultura - questo è mio convincimento profondo - è il fulcro della nostra identità nazionale; identità che ha le sue radici nella formazione della lingua italiana e che, negli ultimi due secoli, si è sviluppata in una continuità di ideali e di valori dal Risorgimento alla Resistenza, alla Costituzione repubblicana.
Nel preparare la nuova legge, va considerato che il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione, così come lo spazio da riservare nei mezzi di comunicazione alla dialettica delle opinioni, sono fattori indispensabili di bilanciamento dei diritti della maggioranza e dell'opposizione: questo tanto più in un sistema come quello italiano, passato dopo mezzo secolo di rappresentanza proporzionale alla scelta maggioritaria.
Quando si parla di "statuto" delle opposizioni e delle minoranze in un sistema maggioritario, le soluzioni più efficaci vanno ricercate anzitutto nel quadro di un adeguato assetto della comunicazione, che consenta l'equilibrio dei flussi di informazione e di opinione.
Anche a tal fine, la vigilanza del Parlamento, in coordinamento con l'Autorità di garanzia, potrebbe estendersi all'intero circuito mediatico, pubblico e privato, allo scopo di rendere uniforme ed omogeneo il principio della "par condicio".
Parametri di ogni riforma devono, in ogni caso, essere i concetti di pluralismo e di imparzialità, diretti alla formazione di una opinione pubblica critica e consapevole, in grado di esercitare responsabilmente i diritti della cittadinanza democratica.
Riassumo le considerazioni fin qui svolte, dalle quali emergono alcuni obiettivi essenziali: - specificazione normativa - tenendo conto delle variazioni introdotte dalle innovazioni tecnologiche in continua evoluzione - dei principi contenuti nella legislazione vigente e nella giurisprudenza della Corte Costituzionale; - attuazione delle Direttive comunitarie che l'Italia dovrà recepire entro il luglio del 2003; definizione di un quadro normativo par l'attivazione della competenza concorrente delle Regioni nel settore delle comunicazioni, secondo quanto previsto dall'articolo 117 del nuovo Titolo V della Costituzione; - perseguimento dello scopo fondamentale di meglio garantire, attraverso il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione, i diritti fondamentali dell'opposizione e delle minoranze.
Onorevoli Parlamentari, ho voluto sottoporre ai rappresentanti eletti della Nazione queste riflessioni, perchè avverto che sta a noi tutti provvedere per il presente e, al tempo stesso, guardare al futuro, prefigurando e preparando con lungimiranza un sistema di valori e di regole che salvaguardi e sostenga la vita e l'azione delle nuove generazioni.
Lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e delle reti di comunicazione è qualcosa di più di un avanzamento tecnico: configura un salto di qualità; muta il contesto nel quale si esplica la vita culturale e politica dei popoli; apre straordinarie possibilità di conoscenza, di nuovi servizi, di partecipazione, di crescita individuale e collettiva.
Dobbiamo vivere questo momento di transizione con consapevolezza e fiducia. Un processo di innovazione affidato alle forze della società, promosso e accompagnato dall'azione pubblica in una appropriata cornice normativa, è la base per una nuova stagione di sviluppo morale e materiale della Nazione.
E' questa una sfida che coinvolge tutte le istituzioni: saper tradurre l'innovazione in una grande opportunità di formazione per i cittadini. Non c'è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell'informazione: sono fiducioso che l'azione del Parlamento saprà convergere verso la realizzazione piena di questo principio".
venerdì 10 dicembre 2010
Esistono ancora i diritti umani
Il dieci dicembre è giornata dedicata a celebrare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Si festeggiano i diritti umani, pur sapendo che quella del 1948 fu solo una tappa di un percorso lungo secoli e che per ancora molto tempo riserverà una tensione costante verso l'affermazione concreta dei diritti stessi.
Oggi ho avuto occasione di partecipare come moderatore ad una tavola rotonda con tre bravi docenti universitari che hanno esposto sul tema da altrettanti punti di vista diversi. La discussione è ruotata intorno al ‘I diritti dei popoli – Universalismo e differenze culturali’ (Laterza 2009) di Luca Baccelli. Si sono confrontati con l’autore, docente di Filosofia del diritto alle Università di Camerino e di Firenze, l’accademico dei Lincei, Pietro Costa dell’Università di Firenze e il filosofo Baldassarre Pastore (Università di Ferrara).
Suggestiva la questione di fondo che il libro di Baccelli affronta: i diritti umani sono universali o rappresentano il prodotto della cultura occidentale? Eppoi: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo ha ancora un senso? Si può continuare a parlare di Diritti umani nell’era delle guerre per esportare la democrazia?
Un uso e consumo dei diritti umani e del lessico dei diritti stessi a servizio degli interessi dei potenti è un dato certamente non nuovo. Il libro di Baccelli e il dibattito sull'universalità dei diritti umani pone la questione in maniera radicalmente nuova: è possibile partire dalla connotazione occidentale dei diritti per superare l'universalismo e affermare la loro carica liberatoria ed emancipatoria? Un lessico e una narrazione diversa sono possibili, rimettendo al centro la questione dei diritti contro i poteri che li utilizzano per esportare o imporre interessi particolari o illegittimi.
mercoledì 8 dicembre 2010
Il male della banalità
L'ultimo numero di Altreconomia ha una copertina provocatoria quanto il tema che viene proposto: l’informazione.
"Quella italiana -lo sappiamo bene- è in crisi" scrive il direttore Pietro Raitano nell'editoriale. "I motivi di questa crisi li conosciamo anche meglio. Tuttavia ci preme sottolineare una cosa, ovvero che più che di libertà di stampa, sarebbe il caso di iniziare a parlare di qualità di stampa. Il guaio dell’informazione italiana sta diventando proprio questo: semplificazioni, approssimazioni, inadeguatezze, scarsa professionalità. Conflitto di interessi e utilizzo personalistico".
"Le responsabilità -scrive ancora Raitano- sono di tutti noi che facciamo questo mestiere, degli editori, ma anche di chi usufruisce di questo lavoro, ovvero lettori, ascoltatori, telespettatori, utenti di internet. Il risultato sono tv e giornali pieni di notizie prive di interesse, come quelle che vedete in copertina. Ci stiamo abituando al male della banalità, più che alla banalità del male".
"Eppure le notizie -intese come fatti degni di nota- dovrebbero essere il cuore dell’informazione, le sue particelle elementari. Dove sono finite le notizie?". Chi decide cosa fa notizia e come deve essere riportato?
La questione è molto complicata, ma aprendo un po' il muro della "normalità" quotidiana, scavando dentro il mercato dell'informazione e i suoi protagonisti (giornalisti, editori, politici, concessionarie di pubblicità etc.) si scopre che la situazione, in realtà, è molto peggiore di quella che pensiamo. E che la qualità dell'informazione non è solo dettata dal controllo ossessivo della politica, e di certa politica, ma da qualcosa di più profondo e più difficilmente reversibile. Se non partendo da una consapevolezza che ognuno deve sviluppare dentro di sé.
p.s.: di questi temi parleremo domenica 12 dicembre alle 18 alla libreria Lucca Libri di Lucca.
martedì 7 dicembre 2010
Ad acqua risponde democrazia
Incontro Emilio Molinari nell'appartamento a Milano che condivide con la moglie Tina. È l'unico suo giorno libero di un periodo intensamente passato a presentare l'ultimo libro, scritto insieme al giornalista Claudio Jampaglia. Il titolo è "Salvare l'acqua". Capisco subito che la nostra non sarà un'intervista classica, ma un viaggio profondo e denso di spunti. Una chiacchierata si direbbe. E lui deliziosamente mi dedica diverse ore, per spiegare che sì, ce la possiamo fare a salvare l'acqua dalle mire dei poteri economici, che intorno a questo impegno si gioca un bel pezzo delle nostre malandate democrazie.
La prima domanda scatena una lucida analisi sul significato di questa lotta. Perchè tanto impegno intorno all'acqua? "Il tema -risponde subito annotando su un foglio bianco i punti del suo ragionamento- è riuscito ad essere un concentrato di quello che serve ad una nuova generazione di impegno politico. La narrazione intorno all'acqua come fonte di vita trova richiami in tutte le religioni, ogni civiltà è nata intorno a questo elemento. È un aspetto su cui si costruisce un immaginario. Ed era precisamente un elemento che alla fine del secolo scorso era stato perso. In secondo luogo -insiste Emilio- è uno strumento utilissimo di lettura dell'attualità: acqua come indicatore della sostenibilità del Pianeta, senza di cui è in discussione la vita stessa.
È un tema che la gente riesce a vedere. Non è strano, ad esempio che ci siano molte persone anziane che si mobilitano. Gli anziani hanno più facilità a capire cosa è successo, come si è persa la risorsa, mentre i giovani spesso devono fare ancora questo passaggio, perchè l'hanno già ereditata contaminata di schifezze e di inquinamento. La condizione di precarietà dell'acqua, della scarsità della risorsa che comincia a farsi strada. Ne discende un terzo elemento: di fronte alla scarsità, la capicità di avere posto la questione della mercificazione. È un aspetto che va più in là della privatizzazione in senso stretto. Essere riusciti a dare la dimensione del problema: l'anonima multinazionale intoccabile che si sta prendendo l'acqua dei nostri territori. Invisibilmente".
Qui capiamo come intorno a questo tema ne girano molti altri. "Se nel '900 il dibattitto politico ruotava intorno alla proprietà dei mezzi di produzione, oggi possiamo dire che il vero scontro si gioca sulla proprietà dei mezzi di riproduzione umana. Il capitalismo si sta appropriando delle fonti stesse della vita, della possibilità di riprodursi: acqua, semi, terra e anche aria per certi aspetti. Il contadino perde il suo ruolo, noi perdiamo il rapporto con l'acqua. L'altro dibattito, forte, è sui tempi: siamo stati abituati a ragionare su tempi non definiti del cambiamento. Tutta l'umanità, nelle grandi correnti di cambiamento, ha sempre pensato alla lunga distanza. Per il socialismo era il sole dell'avvenire, per i cristiani il Regno di Dio in terra, per il capitalismo era lo sviluppo dell'economia che avrebbe portato benessere anche ai più poveri. Oggi per definire un cambiamento abbiamo un tempo massimo di 40-50 anni. Questo rovescia la domanda: parliamo di cambiamento o di salvezza?".
E sull'acqua c'è possibilità di vincere in tempi brevi? "Questo -risponde Emilio- è un elemento centrale. C'è la possibilità di fare delle conquiste. Si può affermare a livello istituzionale che l'acqua è un diritto umano universale imprescindibile ed ineliminabile. Sono obiettivi concreti che vengono portati avanti sul piano locale, nazionale ed internazionale".
Passiamo alla proposta, perchè serve concretezza. Qual è la loro proposta? Di che tipo di gestione parliamo?
"Sottraiamoci un attimo dal discorso se è meglio pubblico o privato -spiega ancora Emilio-. Parliamo di acqua: prendiamo principi e valori che erano nella politica del passato e che sono universali: l'acqua va garantita come diritto umano a tutti. In secondo luogo il principio del risparmio: nessun soggetto privato è in grado di garantire il diritto e il risparmio, può certamente far funzionare bene un'azienda, ma non è in grado di garantirli. Il secondo problema riguarda l'efficienza della gestione. Per l'acqua non esiste competizione, c'è solo un passaggio da un monopolio naturale gestito pubblicamente e localmente ad un monopolio naturale gestito privatamente. Non è una privatizzazione qualsiasi, ma una mercificazione globale, si potrebbe semplificare dicendo "tutti i rubinetti del mondo in mano alle multinazionali". Terzo: non è mai dimostrato che pubblico non significa capacità di gestire: nel nord Italia, a Milano, a Parigi è vero il contrario. In tutto il mondo non esiste esempio di gestione virtuosa del privato. Certo, esistono gestioni scorrette ed incapaci del pubblico, ma allora il punto è ragionare come migliorarla. Eppoi: cosa resta ai territori se sottraiamo anche la gestione dei beni pubblici? Si afferma spesso "padroni a casa nostra", allora perchè accettare che venga sottratta la gestione dell'acqua? Per questo noi proponiamo una forma di gestione che garantisca gratuitamente a tutti il minimo bisogno (50 litri al giorno secondo le Nazioni Unite), introducendo il criterio del contatore per ogni famiglia, coinvolgendo ognuno nel risparmio. Così comincia a delinearsi una politica nuova che può anche prevedere forme di gestione comunitaria dei territori come accaduto in passato ed accade ancora oggi, forse le crisi attuali costringeranno anche a tornare a queste soluzioni".
Sembra che il tempo, parlando con Emilio, debba non passare mai, che ogni parola riporti un significato così profondo da essere nuovo e vincente quanto ancorato alla storia. O meglio a tutto ciò che di buono e costruttivo l'umanità è riuscita a realizzare. E può e deve continuare a farlo.
p.s.: l'intervista completa è stata pubblicata dalla rivista Manitese
venerdì 3 dicembre 2010
E' possibile cambiare la televisione?
Pochi giorni prima dell'inizio di "Vieni via con me", Loris Mazzetti, capostruttura di Rai Tre e curatore del programma di Fazio e Saviano, mi aiuta con grande disponibilità a chiarire alcune questioni chiave sullo stato dell'informazione televisiva. Ne nasce un'intervista che il mensile su cui collaboro, Altreconomia, pubblica nel numero appena uscito.
Mazzetti lavora da 30 anni in Rai ed è stato braccio destro di Enzo Biagi. Ha pubblicato diversi libri, alcuni donati al nostro paese per coltivare la memoria del grande giornalista scomparso qualche anno fa.
Il libro di Mazzetti "La macchina delle bugie" è un manuale prezioso che va oltre la critica all'informazione "controllata" per svelarne i meccanismi reali. Credo che sia molto importante "svelare" i meccanismi: molto di più di qualsiasi lamento. Il mio pensiero nello scrivere "Informazione, istruzioni per l'uso", il libro che ho appena pubblicato con Altreconomia (a proposito: domenica 12 lo presentiamo alla libreria Lucca Libri ore 18), si concentra ogni giorno su questo concetto: i meccanismi. In fondo il lamento è uno vizio così dannoso al pensiero, lo impigrisce, lo cristallizza in una babele di luoghi comuni o meno comuni che non producono cambiamento. Penso poi che in Italia esiste un Presidente del Consiglio (chiamato impropriamente premier) che si lamenta in ogni istante dell'informazione e anche per questo dobbiamo fare qualcosa di più. L'intervista a Loris Mazzetti la trovate sul giornale (approposito: chi può si abboni ad uno spazio libero e indipendente), su nonchiedercilaparola pubblico con piacere alcuni stralci, perchè servono a capire quanto profonde sono state le trasformazioni degli ultimi decenni e quanto difficile siano da sradicare.
"Il rapporto della politica con l'informazione -risponde Mazzetti alla domanda se lo stato dell'informazione sia solo conseguenza del controllo berlusconiano- è cambiato totalmente nel momento in cui è arrivata la televisione commerciale. I politici hanno cominciato ad essere continuamente ospitati su tutti i programmi e non solo negli spazi canonici delle tribune elettorali. È stato un cambiamento epocale: oggi il politico smette di stare a contatto con la gente comune e lo fa solo attraverso la televisione. Male che vada, un programma piccolo e semi-insignificante, annovera comunque 400.000 telespettatori. Oggi piazze molto gremite non superano le 15.000 persone".
La conversazione segue: Tv pubblica e privata sono diverse? Cosa occorre per fare strada? Il digitale cambia qualcosa? Infine: cosa possono fare i cittadini?
"Se i cittadini -risponde- avessero un comportamento nei confronti della televisione simile a quello che ha nei confronti della sanità tutto sarebbe diverso. Per la propria salute, giustamente, attivano Tribunali del malato, associazione di consumatori, comitati. Se accade un caso di malasanità scoppia subito un pandemonio. In caso di malainformazione invece non succede mai quasi niente, perchè il cittadino non è a conoscenza dei propri diritti. Quando si va ad acquistare un televisore, portiamo a casa un imballaggio che contiene oltre allo schermo, anche un manuale di utilizzo utile a sincronizzare i canali e alla manutenzione dell'apparecchio. Nello stesso imballaggio ci dovrebbe essere anche un secondo libretto, il contratto di servizio che la Rai stipula con il Ministero. Tutti dovrebbero conoscerlo alla lettera perchè contiene i nostri diritti. C'è scritto tutto: da come tutelare i minori a come dovrebbero essere utilizzate le fasce orarie. Basterebbe farlo rispettare".
P.S.: Mazzetti ha subito già più di dieci provvedimenti disciplinari con un totale di venti giorni di sospensione. Con "Vieni via con me" ha superato i dieci milioni di telespettatori e con la vicenda di Maroni ha rischiato il licenziamento.
mercoledì 1 dicembre 2010
A parole...
Da uno scambio di mail con un caro amico ci chiediamo se l'antimafia quella a "parole" possa veramente scalfire il potere delle mafie. Tutto sta nel significato di "a parole".
Il procuratore Ingroia qualche anno fa in una bella intervista su Altreconomia fatta da Mario Portanova ricordava in maniera molto semplice che "spesso i cittadini si chiedono come possono incidere. Il consumo critico è un modo, ma per praticarlo è necessario avere informazioni. Sulla mafia i media dovrebbero fare meno colore e più servizio, raccontando di imprese e realtà economiche colluse, in modo che i cittadini possano orientarsi meglio”.
Quindi oltre il "colore" ci deve essere di più, devono essere svelati i meccanismi reali della mafia e in quale modo oltre ad offendere la legalità impoveriscono la società. Roberto Saviano "a parole" fa il suo mestiere, quello di raccontare storie. L'attore Giulio Cavalli con il suo spettacolo "a parole" fa il proprio mestiere.
I magistrati, spesso nell'ombra perchè deve essere così, fanno il loro. Fare le classifiche è impossibile, ma gli anelli deboli della catena del dovere sono troppo decisivi: la stampa molte volte tradisce la propria funzione che dovrebbe essere quella di scavare sotto l'apparente normalità e raccontare le mafie non solo quando ci sono fatti di sangue, arresti eccellenti o processi pubblici, ma tutti i giorni. La politica latita e non assolve al quel compito di creare nuova consapevolezza, di cambiare in qualche modo la società.
Proviamo a dirla in altro modo: è bello leggere su Repubblica o vedere alla televisione Roberto Saviano che racconta di "gomorra", ma sarebbe più bello avere più spesso giornalisti veri (e quindi che possono muoversi e "scavare" con autonomia...) che raccontano la parte di Italia che è costretta a convivere con le mafie e a subirne la potenza.
Come è bello leggere Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che si scaglia contro la mercificazione del cibo, la speculazione sull'alimentazione, che racconta quanto sia sano, bello buono il mondo "slow", ma perchè non avere più spesso giornalisti che ne svelano i meccanismi, ne raccontano i non sense e abituano il lettore a chiedersi se dietro a quello che mangiano ci sia la mafia o qualsiasi altra forma di speculazione legale o meno?
Invece altri meccanismi portano spesso a sovvertire le funzioni: lo scrittore "informa", il giornale "ospita", l'artista "fa politica", la politica "difende" lo scrittore, l'antimafia si riduce a spettacolo. In tempi bui come questi va bene tutto, ma siamo sicuri che porti ad un qualche cambiamento?
lunedì 29 novembre 2010
Chi osa la chiosa?
Fra le varie conseguenze della scelta di approfondire il ruolo dei media nella società italiana, c'è la tortura di costringersi a vedere spesso un telegiornale. All'inizio ti arrabbi molto facilmente, dopo un po' impari a non sorprenderti mai, ti indigni con discrezione e il boccone che stai per mettere in bocca, perchè è l'ora del pasto, è meno amaro.
Cominci a tendere l'orecchio ai dettagli e apprezzi ancora di più giornalisti come Norma Rangeri che dei vizi pubblici della televisione sa e scrive da molti anni. Guardare la televisione fa male se non ti immunizzi prima, con l'immunità diventa una pratica molto utile. Stiamo parlando di telegiornali ovviamente, per il resto serve tempo.
Il telegiornale di fine regime è interessante perchè nei singoli servizi telegiornalistici arrivano i colpi di coda. Molto simili a quelli che la destra sta lasciando andare a destra e a manca (a sinistra non serve, se li tirano da soli). Ieri sera per esempio al servizio sul Tg2 sulla ragazzina scomparsa in provincia di Bergamo, la cui rappresentazione giornalistica dovrebbe essere cauta perchè ancora avvolta nel mistero, è stata aggiunta la voce popolare in chiusura di un bergamasco doc che afferma: "ci sono troppi immigrati qua". Fine, ultima parola, quella che è decisiva, che conta, che resta, a cui molti annuiscono come delle pecore. Speriamo bene.
Stasera invece sul Tg1, oltre a minimizzare le rivelazioni di wikileaks, arriva un servizio che racconta finalmente una buona notizia: a Napoli stanno smaltendo i rifiuti. Non si parla del Governo, ma di vari enti, fra cui il Comune di Roma stanno aiutando a smaltire, la situazione migliora. Qualche immagine, senza comunque avere idea di ciò che sta realmente accandendo, di dove verranno portati. Finisce il minuto: "a Napoli la scorsa settimana era arrivato Silvio Berlusconi". Sigla. Ora "Vieni via con me".
venerdì 26 novembre 2010
Saviano e la parola su Impastato
E' emblematico il caso sollevato dal Centro di Documentazione Impastato e da Giovanni, il fratello di Peppino, su come Roberto Saviano nel suo ultimo libro "La parola contro la Camorra" riporta la storia di Peppino stesso. Nel libro Saviano scrive che prima del film del 2000 "I cento passi" "la memoria di Impastato era conservata solo da pochi amici, dal fratello e dalla mamma". Qui sta il punto controverso. Coloro che avrebbero "custodito la memoria" dicono che in realtà non è così perchè lottare per la giustizia non è custodire la memoria: "non ci siamo limitati alla memoria – afferma Giovanni Impastato – ma ci siamo attivati per denunciare il depistaggio e dare alla magistratura tutte le notizie sull’attività di Peppino che indicavano chiaramente la matrice mafiosa dell’assaissinio". La mamma subito chiese la costituzione di parte civile e l'anno dopo il Centro organizzò la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d’Italia.
Sgomberiamo il campo da ciò che non aiuta a comprenderela vicenda: la querela che sarebbe stata minacciata nei confronti di Giovanni dall'amministratore delegato di Eunaudi Baravalle assomiglia molto alle querele contro chi esprime liberamente le proprie opinioni e non ci piace per niente. Speriamo faccia marcia indietro perchè la storia della casa editrice non se la merita.
Ma guardiamo alla realtà dei fatti senza preconcetti. Saviano non ha detto niente di falso, ha affermato una cosa vera e cioé che prima del film e di altri accadimenti il caso non aveva avuto abbastanza notorietà almeno nel grande pubblico. Messo in positivo: il film ha restituito parte della memoria che era dovuta. Saviano probabilmente lo dice in termini di denuncia, cioè avrebbe lui voluto che non fosse stato così. A quel punto gli viene detto dai protagonisti: attenzione perchè in realtà c'è una storia dietro, molto profonda e densa di sudore, lacrime e lotta. Forse più della tua. Perchè non ne dai atto, tu che hai seguito e notorietà e probabilmente senza la storia di Peppino anche la tua sarebbe almeno un po' diversa? (libera intepretazione ovviamente...).
La denuncia di Impastato e di Santino (che dirige il Centro di Documentazione) è legittima, anzi opportuna. Così come è legittimo ciò che scrive Saviano perchè il suo libro non è la storia di Peppino.
Allora dov'è il problema? Il problema è culturale e politico (per questo le querele sono fuori luogo).
Perchè non c'è memoria se non esiste un fenomeno massmediatico che toglie dall'oblio? Perchè anni e anni di lavoro valgono meno di un film? Forse Saviano ha ragione: se non ci fosse stato il film tutto sarebbe stato diverso. E credo che avrebbe anche ragione a rifiutarsi di rettificare perchè non ha scritto cose false, ma ha rappresentato solo un aspetto come accade oggi sovente nell'informazione mainstream (vedi Repubblica o Santoro). Così come è opportuno che Impastato e altri si facciano sentire perchè la verità di Saviano è verità per milioni di persone e lui ha questa enorme responsabilità di coltivarla e non ridurla a fatto privato o massmediatico.
La questione però è un'altra: oggi ciò che non è rappresentanto e raccontato dalla televisione e dai grandi mass media semplicemente non esiste. Non ha cittadinanza, può sudare, essere frutto di capacità enormi, essere figlio di ingiustizie tremende, avere tutti i connotati per interessare un grande pubblico, ma quasi non esiste se qualche megafono visivo non ne parla.
Saviano (che è patrimonio di tutti molto di più della dieta mediterranea) ha questa possibilità, se la è creata perchè è bravo, gli è stata data perchè ha saputo promuoversi e la contingenza storica del nostro paese lo ha permesso. Non è un eroe e non lo sarà mai (lo diventerebbe se facesse la fine che i casalesi vogliono e questo deve essere impedito), ma risulterebbe un personaggio storico se, come seppe fare Pasolini in clamoroso anticipo su tutti i tempi, provocasse un dibattito e un cambiamento anche in questa prospettiva, cioé se sapesse abbattere quei muri e quelle leggi che fanno sì che esista solo ciò che i giganti dei massmedia decido possa esistere.
Non pensiamola questa storia in contrapposizione, ma come un'occasione.
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